Vecchio Trombone

Commenti da bar nella blogosfera

lunedì, agosto 28, 2006

Carciofo

In mezzo a via Rembrandt, appoggiato alla cordonatura che delimita la corsia degli autobus, c’è un carciofo.

Un bel carciofo screziato di viola scuro, fresco e sodo, con una spanna di gambo, giace lì inerte in mezzo alla strada sgombra, sul sentiero della mia auto.

Rimane nel mio campo visivo per quattro, cinque secondi al massimo e già sono passato oltre; eppure è una visione troppo incongrua per non lasciare una traccia. Di certo – elucubro – l’avrà perso qualcuno da una borsa del mercato; probabilmente sarebbe dovuto diventare l’ingrediente base per un buon risotto. Ma d’altra parte, perché darsi la pena di comperare dei carciofi freschi, pulirli, sbollentarli, buttare gli scarti? Per un risotto qualsiasi? No, sicuramente si tratta di un’occasione particolare. Una serata galante, per forza.

Lo ha acquistato al mercato una matricola universitaria che studia fuori sede. È di una città del Sud, ricca di storia ma non molto grande; che so, Trani, no, Barletta. Ecco, una matricola di Barletta, che non può che chiamarsi Nicola, come suo nonno (e di conseguenza è il primogenito maschio di una famiglia con tre figli). Nicola è appassionato, intelligente, pragmatico – ed è per questo che si è iscritto a ingegneria; un po’ timido, non del tutto a suo agio con le ragazze – ed è per questo che a ingegneria si trova bene.

Insomma, dopo averla puntata da lontano, dopo avere speso metà dell’anno accademico a perfezionare una estenuante manovra di avvicinamento, finalmente – ai primi di settembre – Nicola è riuscito a invitare Annalisa, Anni, a cena a casa sua. Con amici, si intende.

Anni è di Parma e anche lei studia fuori sede. È iscritta al primo anno di scienze naturali e va spesso a studiare nella biblioteca di ingegneria. È tondetta, vivace e non se la tira per nulla, così diversa dalle ragazze milanesi, pallide e asciutte come giunchi, che sembrano avercela solo loro.

Nicola si è concesso un giorno sabbatico per preparare la cena di stasera, è andato al mercato, perché si risparmia e la verdura è migliore, ha addirittura tirato sui prezzi. E ora, a causa di quello stupido carciofo, che non ha trovato di meglio che cadergli dal motorino e depositarsi in via Rembrandt, la buona riuscita del risotto – e quindi della serata – è a repentaglio.

All’inizio è perplesso: era convinto di averne comperati tre e ora si ritrova con due carciofi. Poi subentra il panico: con due carciofi non c’è verso di fare un risotto decente per quattro. Il piano “b”, quello che nei film d’azione è sempre a disposizione del protagonista in difficoltà, qui – nel mondo reale – non è stato previsto.

Nicola è costretto a scendere di corsa all’Esselunga di via Novara ma sono ormai le sette di sera e di carciofi freschi non ce ne sono più; rimedia come può con un vasetto di carciofini sott’olio, ma non è proprio la stessa cosa. A quell’ora sono rimaste aperte solo tre casse e c’è coda; Nicola si fa sempre più ansioso, suda, un sudore acido di stress, cattivo.

Corre a casa, inizia a spignattare, ma è già tardi e a soffritto appena avviato arrivano i suoi ospiti; le cipolle si bruciano. Nicola è sempre più nervoso, è impacciato, rovescia il vino. Anche il risotto è irrimediabilmente rovinato.

Insomma, la serata si risolve in un fiasco. Tutto a causa di un carciofo sfuggito dalla borsa del mercato di Nicola e andato a depositarsi sulla cordonatura della corsia degli autobus, in via Rembrandt, dove sono appena passato io in auto.

(…) Arrivato a questo punto, nemmeno io so più che cosa sia realtà e che cosa una mia invenzione. Sarà per questo che riesco a essere credibile quando racconto cose in cui non credo affatto?

mercoledì, agosto 02, 2006

Chi sceglie i nomi dei prodotti IKEA?

Ok, liberiamoci subito dall'incombenza della premessa: parto dal presupposto che il solo fatto di essere cittadini residenti di un paese occidentale implichi il possesso di uno o più oggetti dell'IKEA.

Sul geniale modello di business sviluppato da Ingvar Kamprad si sono versati fiumi di inchiostro e ormai si è detto tutto e il contrario di tutto, quindi sorvoliamo.

Dita spellate, chiavi a brugola che si distruggono e disastrosi crolli di armadi che si reggono su una singola vite sono stati ampiamente sviscerati; nulla di originale può essere aggiunto all'argomento.

Invece, amerei che qualcuno mi aiutasse a capire il criterio con cui il marketing di questo colosso del mobile aleatorio sceglie i *nomi* dei prodotti che ci ammannisce.

Il catalogo IKEA, che si stima raggiunga 130 milioni di persone (*cento-trenta-milioni*! - tira più della Bibbia...) è tutto un florilegio di:


  • Klippan,
  • Rugga,
  • Billy,
  • Dofta,
  • Lycksele,
  • Onska,
  • Makta,
  • Dekad,
  • Smycka,
  • Minkya...

Questo risultato è frutto di una ricerca del tutto casuale, compiuta nel giro di 20 secondi, ma già vediamo affiorare un pattern.

Tanto per cominciare, un prodotto IKEA non viene neanche messo sul tecnigrafo di progettazione se non contiene almeno una doppia consonante, meglio se dentale o gutturale, e i prodotti di maggior prestigio devono contenere almeno tre K o una Ø, barrata come la 54 quando termina il servizio in Largo Brasilia.

Le vocali sono mantenute al minimo indispensabile, giusto quelle che permettono di evitare l'essicazione immediata delle fauci.

Quando ci sono, peraltro, dette vocali sono invariabilmente impreziosite da dieresi, cediglie, pallini e barrette. Che come minimo una sequenza di Å, Ä, Ë, Ï, Ö, Ø, Ü si pronuncia: "noghese, patarimannu, strumbuttu, accattarru, agarrassu, cadrega, FRANCO", come nello sketch dei sardi di Aldo, Giovanni e Giacomo.

Quanto ai prodotti in sé, quale genitore snaturato farebbe mai dormire il proprio figlio in un lettino Kritter? Come minimo l'infante si deve aspettare una visita di qualche mostro alla Freddie Krueger...

E la sedia PS Surrig non è forse un invito all'incontinenza?

Certo, rimirare la nostra figura in uno specchio Fräck ci dona una certa eleganza ancor prima di esserci rasati, così saremo nello spirito giusto per andare in ufficio, dove accomoderemo le terga su una sedia Kläppe; e dove altro...?

Ora, però, quello che mi preme davvero di capire, è quale senso dell'umorismo possa avere questo team di simpatici scandinavi.

Ci sono 6 milioni di svedesi al mondo e 130 milioni di clienti IKEA; non farebbero prima loro a cercare di adeguarsi a noi, piuttosto che costringerci a pagare un logopedista?

Ma soprattutto, ci stanno solo prendendo in giro o è in atto un surrettizio tentativo di convertire tutti alla lingua svedese?

VT

Ma chi disegna i giocattoli per gli under-36 (mesi)?

I nostri figli sono nelle mani di una generazione di post-hippie allucinati.

Mi riferisco ai progettisti dei giocattoli che i nostri virgulti under-36 manipolano e biascicano tutti i giorni. Come padre di una bimba di poco più di un anno, ne ho le prove.

Partiamo dal gioco preferito di mia figlia: ecco Lele, un elefante di pezza (Lele-fante) decorato con strisce, fiori e disegni optical in colori primari.

Ora, per il semplice fatto che l'allucinazione standard da LSD è l'elefante rosa il caso sarebbe già chiuso, ma non è finita qui.
Per inciso, l'elefante rosa è ormai diventato talmente iconico da essere stato scelto come logo di un parcheggio nell'aeroporto di Londra-Heathrow; chissà se ospita solo Citroen 2CV, Maggiolini e Minibus VW?

Ma torniamo a noi. Manipolato, Lele emette strani fruscii, e che possa essere manipolato deriva dal fatto che è alto 14 centimetri. Niente di strano: è in scala... Certo, ma allora come si spiega che la sua amica lumaca abbia un diametro di 76 centimetri? E' noto che l'acido provoca gravi alterazioni nella percezione del continuum spazio-temporale, e un ulteriore effetto è che ti fa dare confidenza a personaggi quantomeno improbabili.

Naturalmente anche la lumaca presenta una serie di delicate nuance di colore che spaziano dal giallo-evidenziatore al fuchsia, passando attraverso un turchese talmente elettrico che neanche l'ENEL. Altro chiaro segno di alterazione delle percezioni.

Alla stessa stirpe di Lele e di Jurassic Snail appartiene poi tutta una serie di giochi e accessori da passeggino (pensavate di essere fighi perché avete il satellitare in macchina? Dilettanti...) denominata "Tenera Giungla".

Non ho dubbi che habitat più ostili della giungla esistano - su Plutone -, ma qualcuno mi vuole spiegare che cosa può avere di "tenero" un luogo caldo, umido e pieno di bestie feroci? Io la giungla l'ho vista e le zanzare sono talmente grandi che per decollare devono presentare un piano di volo.

Solo una grave alterazione dello stato di coscienza può portare i nostri toy-designer a popolare la giungla di leoni (giraffe, zebre, anaconda, facoceri...) colorati, fiorellati e sorridenti. Che poi facoceri e zebre vivono nella *savana*, ma vabbe'...

Ora, io mi sto anche convincendo che il leone sia un po' gay (eccolo qui, fate voi) - e poco male, ho la mente aperta - ma quando leggo: "Le sue zampine "scricchiolano" e se scosso produce un allegro tintinnio per la sorpresa ed il divertimento del piccolo esploratore" , vado a cercare la mia bottiglia di essenza di mondo reale.

Le sue *zampine*!? Un allegro *tintinnio*!? Signor progettista, si prepari a un duro rientro nella realtà: i leoni hanno zampe *enormi*, e *ruggiscono*, non tintinnano...

E tuttavia, quello che mi spaventa di più è che Lele e i suoi amici sono commercializzati come "il mio primo elefante (leone, facocero, anaconda, etc.)".

Non è che fra un paio d'anni mia figlia mi chiederà anche il secondo?

VT

Sopravvivere nella Milano di agosto

Ti rendi conto di esserti definitivamente imborghesito quando arriva l'estate e ti ritrovi da solo in città con moglie e figlia al mare.

Tu che fino a cinque anni fa pensavi di non sposarti proprio, tu che a vent'anni giuravi al mondo che avresti fatto la rivoluzione, tu che avevi chiesto ai tuoi amici di *spararti* se mai ti fosse venuto in mente di guadagnarti da vivere in giacca e cravatta.

Proprio tu ti ritrovi all'alba del 2 agosto con la tua Mercedes Station Wagon turbodiesel (turbo*diesel*!!!) arroventata dal sole malato di Milano. Hai il sedile posteriore ingombro di giocattoli, di elefanti a strisce ed enormi margherite che sorridono, e sei felice.

Sei felice, sì, però ti ritrovi ad affrontare Milano per le prime due settimane di agosto. Ormai la città è a mezzo regime, popolata di anziani con le loro badanti ucraine, forzati dell'ufficio come te e latino americani che organizzano mondiali paralleli di futbòl e grigliate al Bosco in Città.

I tuoi amici sono in ferie, quelli sposati in posti come Pinarella di Cervia o Laigueglia, quelli single a Cuba o Lanzarote; cinema e locali sono in disarmo, i ristoranti hanno mandato gli chef in ferie e se non stai attento rischi di beccarti un piatto di tagliatelle Fidel dell'Esselunga condito al 60% con acqua di cottura e al 40% con la passata di pomodoro sempre Fidel, che sei ancora lì a chiederti se il Lider Maximo lo sa di avere prestato il suo nome alla linea primo prezzo dell'Esselunga.

E ancora ancora, per mangiare te la cavi. Anni di vita da single ti sono quanto meno serviti a imparare a badare a te stesso. Certo, non hai mai imparato a stirare le camicie - e d'altra parte il livello di competenza richiesta trascende l'avere conseguito una laurea e un master - ma fortunatamente le polo sono tollerate a questa stagione.

Il vero problema è cosa fare dopo. L'intrattenimento risponde alla dura legge della domanda e dell'offerta e la domanda è per artisti ecuadoregni/brasiliani/guatemaltechi, ma a te Adriana Calcanhotto proprio non dà l'idea di essere l'erede di Caetano Veloso.

Il videonoleggio sotto casa è fornitissimo di improbabili commedie con sedicenni del mid-west americano come protagonisti, sulla televisione stendiamo un velo pietoso e gli unici bar aperti hanno ancora la carta moschicida che pende dal soffitto.

Alla fine che cosa resta? Aprirsi un blog. Ecco, il blog come ultimo rifugio dall'alienazione metropolitana nel mese di agosto.

Buone vacanze.

VT

Primo post

Mi ricordo una strip di Peanuts in cui Snoopy viene presentato al nuovo gatto di Frieda e viene lasciato solo. Dopo due vignette di palpabile imbarazzo in cui il gatto rimane impassibile, Snoopy si pone il problema esistenziale "che cosa si *dice* ai gatti?"

Ecco, che cosa si *dice* alla blogosfera? Da digital immigrant quarantenne, per ora mi limiterò a osservare il pubblico dei digital natives e a cercare un punto di accesso.

A presto.

VT